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Categoria: VENDITA

* Cassazione, ordinanza 22 gennaio 2018, n. 1534, sez. II civile

CONTRATTI – VENDITA - Di terreno – Gravato da usi civici – Nullità del contratto – Sussistenza – Obbligo del venditore di restituire il prezzo – Sussistenza – Atto di transazione concluso tra il compratore e il Comune – Irrilevanza.

 

In riferimento ad un bene immobile gravato da usi civici il venditore sostiene che l'atto di compravendita era in realtà una cessione volontaria di cui alla L. n. 865 del 1971, con il quale solo formalmente la proprietà del bene passava all’acquirente, avendo questi agito quasi come una sorta di longa manus della P.A. La qualificazione del contratto intervenuto tra le parti ha, invece, carattere esclusivamente privatistico.

La cessione volontaria costituisce un contratto ad oggetto pubblico i cui elementi costitutivi, indispensabili a differenziarla dal contratto di compravendita di diritto comune, sono: a) l'inserimento del negozio nell'ambito di un procedimento di espropriazione per pubblica utilità, nel cui contesto la cessione assolve alla peculiare funzione dell'acquisizione del bene da parte dell'espropriante, quale strumento alternativo all'ablazione d'autorità; b) la preesistenza non solo di una dichiarazione di pubblica utilità ancora efficace, ma anche di un subprocedimento di determinazione dell'indennità e delle relative offerta ed accettazione, con la sequenza e le modalità previste dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 12; c) il prezzo di trasferimento volontario correlato ai parametri di legge stabiliti, inderogabilmente, per la determinazione dell'indennità di espropriazione. Ne consegue che, ove non siano riscontrabili tutti i requisiti sopra indicati - non potendosi escludere che la P.A. abbia perseguito una finalità di pubblico interesse tramite un ordinario contratto di compravendita - al negozio traslativo immobiliare non possono collegarsi gli effetti di cui della L. n. 865 del 1971, art. 14, ossia l'estinzione dei diritti reali o personali gravanti sul bene medesimo.

Affermata la sussistenza di un contratto assoggettato in toto alle norme del diritto privato, sussiste evidentemente la legittimazione dell’acquirente, a farne valere la nullità, nullità peraltro rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice allorquando venga dedotta comunque in giudizio l'efficacia del contratto, ancorché ai fini dell'esercizio della garanzia per evizione.

Pur nella mutevolezza delle legislazioni regionali, resta confermata la regola dell'inalienabilità dei beni gravati da uso civico, del quale va segnalata la mutazione funzionale attesa l'idoneità della sua sussistenza a garantire anche la conservazione del bene ambiente, non solo a vantaggio della collettività dei fruitori del bene, ma della generalità dei consociati. Il divieto di alienazione, divisione o cessione dei ben gravati da uso civico vale anche per i beni convenientemente utilizzabili per la coltura agraria di cui alla L. n. 1766 del 1927, art. 11, lett. b), per i quali risulta possibile la ripartizione ed assegnazione a coltivatori diretti a titolo di enfiteusi.

L'esistenza di un diritto di enfiteusi a favore della dante causa dei ricorrenti, per un bene il cui dominio diretto restava in capo al Comune, esclude la ricorrenza di un bene in proprietà privata, e permette di ricondurre la fattispecie ad una delle ipotesi nelle quali, per costante giurisprudenza, si è ritenuto che operi il divieto di alienazione, stante la sostanziale equiparazione dei beni demaniali gravati da uso civico a quelli, sempre di proprietà pubblica, sui quali sia stato costituito un diritto di enfiteusi in favore di privati.

(Nel caso di specie si è stabilito che la nullità della cessione di un terreno gravato da usi civici obbliga il venditore a restituire il prezzo e che l’intervenuta transazione con il Comune, sottoscritta dal compratore, non ostacola l’operatività dell’evizione nei rapporti tra privati).