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* Cassazione, sentenza 9 maggio 2016, n. 9317, sez. II civile

compravendita immobiliare – Diffida ad adempiere - Risoluzione - Inadempimento grave e rilevante di una delle parti – Domanda di parte.
La diffida ad adempiere costituisce una facoltà che si esprime nella libertà di scegliere tale mezzo di risoluzione del contratto a preferenza di altri e nella possibilità di rinunciare agli effetti risolutori già prodotti: il che rientra nell'ambito delle facoltà connesse all'esercizio dell'autonomia privata al pari della rinuncia al potere di ricorrere al congegno risolutorio di cui all'art. 1454 c.c. Il principio trova applicazione anche con riguardo a fattispecie quale quella in esame: infatti, il contraente non inadempiente che abbia intimato diffida ad adempiere alla controparte, dichiarando espressamente che, allo spirare del termine fissato, il contratto si avrà per risoluto di diritto, ben può rinunciare, successivamente, anche attraverso comportamenti concludenti, alla diffida ed al suo effetto risolutivo.
Il termine contenuto nella diffida ha carattere essenziale in relazione agli effetti che la legge riconnette alla sua inosservanza e soltanto al creditore, nel cui esclusivo interesse l'essenzialità è posta, è rimessa la valutazione della convenienza di far valere l'inutile decorso di quel termine: sicché l'effetto risolutorio rimane nella libera disponibilità di detto soggetto. Ciò è tanto vero che il giudice non potrebbe dichiarare d'ufficio la risoluzione del contratto a seguito dell'inutile decorso del termine indicato nella diffida, senza che vi sia stata apposita domanda del creditore